Top

Non sentire il male

C’è un tempo della vita in cui non bastano più mestiere, tecnica, lavoro, ma ci si domanda dove ci portino e cosa c’è oltre e altrove. Io ero proprio lì, quando, parlando con un amico sapiente, mi sono accorta che gli scritti e il pensiero della Duse mi avevano accompagnato per tutta la mia vita teatrale. Ho cercato un luogo che mi parlasse e dei compagni generosi, e dedicando questo lavoro a lei ho raccolto i fili delle mie inquietudini, sperando che non fossero solo mie. Non avrei mai avuto il coraggio di questa solitudine senza il calore degli amici e di questo li ringrazio. Non è stato per amor di stravaganza che ho cominciato questo lavoro in un luogo – il Palazzo di San Giacomo a Russi, in stato di abbandono – pieno di memorie storiche e personali. Dovevo creare tutte le condizioni perché fosse possibile l’intensa trasformazione che volevo. Ora si è situato in profondità e con precisione in un luogo interiore che, pur modificando il linguaggio e l’espressione, posso rintracciare in ogni momento.

Lo spettacolo è davvero scritto nel corpo, senza retorica, ed è questo che cercavo, e questo è il cuore del mio lavoro su Eleonora Duse, immaginata nel momento in cui, malata e sostituita da Gabriele D’Annunzio nella Figlia di Iorio, prende il copione e recita tutte le parti, tutte le scene, tutte le figure, davanti allo sguardo allucinato di Matilde Serao, puntuale e quasi invadente osservatrice e testimone.

Forse in quel momento la Duse, che recitando guariva dai danni della vita, provava a liberarsi e a vedere oltre la materia necessaria, odiata e amata, del teatro: le scene, i costumi, gli attori…forse sognava di poter volare per un attimo, come le altre arti tentavano, in uno spazio dove fosse possibile il teatro senza corpo e senza voce, libero dalla poesia inevitabile della sua continua distruzione nel qui e ora. Liberandosi della materia del teatro, forse si rinnova il contatto con la vita, da lei sempre inseguito e sfuggito.

Ho attinto a lettere, scritti, testimonianze indirette che percorrono tutto l’arco della sua vita, ed il criterio di scelta è stato assolutamente personale, pur nel tentativo di comprendere e rispettare.

E inevitabilmente, tentando di essere medium di qualcosa che si è molto amato, si parla di sé.

Ho cercato di liberarmi da immagini indotte, stereotipi affascinanti, tentazioni estetiche e credo di avere trovato, nel coraggio e assoluta libertà di lei, una forza preziosa nell’accantonare regole e convenzioni.

Allo stesso tempo, ho lavorato perché fosse possibile, anche a chi non ne avesse mai sentito parlare, attingere a qualcosa di lei.

Attraverso Eleonora sono passate tante donne, nascoste in chissà quali pieghe della mia memoria.

Elena Bucci

 “Bravissima Elena Bucci che svela la profondità dell’attrice. L’arte dell’attore teatrale è un mistero appassionante e segreto, difficile da trasmettere ai posteri. Coraggiosamente, Elena Bucci, premiata attrice di qualità, si pone il problema affrontando la grande, enigmatica figura, in uno spettacolo tutto suo, tra luce e ombre, apparendo da un tendaggio indifesa davanti agli spettatori, o meglio tra loro, in preda a un’emozione contagiosa (…) La Bucci non pensa neppure ad evocare il fantasma della Duse che recita. Ma insegue le sofferenze umane di un’esistenza intessuta d’angosce (…) ossessionata dalla domanda sul senso di un’arte effimera e radicata per lei proprio in quell’inesausto patire. E il tragitto la conduce a una mancata andata in scena, per essere in privato quella figlia di Iorio creata dal Vate per lei e poi affidata a un’altra, anzi a dire tutta sola l’opera della sua vita, nel silenzio della sua stanza. (…) Ma prima che la recita cominci cala il buio su questo insolito toccante spettacolo tutto interiore, un atto d’amore per l’umanità della donna aldilà del personaggio. “

Franco Quadri, La Repubblica