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Lo Stupro di Lucrezia

La lunga frequentazione di Valter Malosti con l’opera in versi di Shakespeare ha prodotto nelle passate stagioni piccoli gioielli teatrali come Venere e Adone, premio Associazione Nazionale Critici di Teatro 2009. Lo Stupro di Lucrezia venne pubblicato nel 1594, l’anno successivo alla stampa del poemetto gemello Venere e Adone (committente e dedicatario il medesimo Southampton). I due poemetti sembrano formare una specie di dittico simmetricamente contrappuntato, in cui la seconda tavola rovescia la prima: dallo sfondo giorgionesco del primo con conigli cani, cavalli e cinghiali si passa ad un tragico notturno, immerso in una livida oscurità caravaggesca squarciata dalla luce di una torcia.
Per il grande poeta inglese Ted Hughes, autore di un visionario e misterico saggio/poema Shakespeare and The Goddess of Complete Being, questi poemetti, scritti quando i teatri londinesi eran chiusi per la peste, sono la base in cui individuare idealmente tutta la strategia poetica e i fondamenti metafisici dell’intera opera shakespeariana.
La storia di come Tarquinio stupri Lucrezia, invasato di lei dopo le lodi del marito Collatino all’interno di una bizzarra gara tra generali, e di come il suicidio della vittima spinga il popolo romano a ribellarsi e a liberarsi dal giogo della tirannia monarchica era stata succintamente narrata da Tito Livio e Ovidio e poi da Chaucer. In Shakespeare la voce di Lucrezia si dilata e diviene uno dei più alti esempi di meditazione sulle conseguenze dello stupro visto dalla parte di una donna, attraverso un’ingegnosa serie di lamentazioni, introspezioni, allegorie, invettive contro il Tempo, la Notte, l’Occasione, e in una ekphrasis che è capolavoro assoluto : la descrizione di un quadro di argomento troiano memore forse di Giulio Romano e di Mantova, in cui il sacco della città diviene la sua propria violazione. Non è un caso che Lucrezia e il suo suicidio abbiano provocato vibranti polemiche e contrapposizioni sul giudizio morale da dare a questa figura esemplare all’interno del mondo cristiano, vera “causa celebre” della casistica (vedi Agostino: “ammazzando sé stessa ha ammazzato un’innocente”). Shakespeare qui dispiega la sua potentissima lingua e la capacità geniale di mescolare l’orrore all’anti-tragica parodia, con una specie di equilibrio incantatore che ci inghiotte nella musica delle parole senza concederci una qualche sospensione liberatoria.
Una lingua tesa, turgida che viene attraversato e sorretta da una partitura sonora inquieta e multiforme.

In un tempo in cui siamo quotidianamente costretti a parlare di violenze e sopraffazioni nei confronti delle donne – il bellissimo spettacolo che Valter Malosti ha ricavato da un poemetto di Shakespeare -, si pone come un ideale manifesto contro ogni sorta di fenomeni del genere un’illuminante analisi dei meccanismi che li generano e delle loro devastanti conseguenze. Ma a impressionare, in questo caso, non è tanto la rabbiosa disperazione della vittima quanto lo sguardo nella psiche del carnefice, la lucida radiografia dei suoi impulsi tortuosamente contradditori.
Il testo descrive l’efferato gesto di Sesto Tarquinio, il figlio dell’ultimo re di Roma: dopo aver sentito lodare la bellezza e la virtù della moglie di uno dei capi dell’esercito, Collatino, l’uomo fu preso da una tale smania di possederla da lasciare di nascosto l’accampamento per introdursi nottetempo nella casa di lei e piegarla con le minacce e col ricatto, provocandone il suicidio. La sua fine fu la causa della rivolta popolare che portò alla caduta della monarchia.
I versi shakespeariani, dotati di una forza poetica davvero sconvolgente, cui forse non approdano neppure le opere teatrali maggiori, inquadrano l’episodio da una doppia prospettiva: la parte più consistente è l’incalzante invettiva della donna contro il suo aggressore contro la notte, contro l’occasione, una tesa, possente orazione in cui arriva persino a identificarsi con le vittime di Troia. Ma i brani più sorprendenti per capacità di analisi e profondità introspettiva sono quelli iniziali dedicati alla psiche infuocata di Tarquinio, all’atroce consapevolezza con cui egli sente la propria vergogna, ma non può fare nulla per trattenersi.

Renato Palazzi, Il sole 24 ore