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Capelli

Il romanzo originale di Roberta Invernizzi da cui è tratta la riduzione teatrale è una narrazione a due voci che, con delicatezza e trasporto, affronta il tema del suicidio.


Un padre ritorna per un solo giorno nell’appartamento ormai vuoto della figlia. I suoi pensieri, i suoi ricordi si incrociano con gli appunti, i diari e mille altre piccole tracce che Nena ha lasciato in casa, come se fosse uscita un attimo e dovesse ritornare. Attraverso le parole lasciate, il padre ricostruisce i pezzi di una vita che solo ora, nel momento della riscoperta, ritrova la sua logica, il suo intero significato.


Ben lontano dalle tetre testimonianze così di moda oggi, CAPELLI offre invece una lettura assai più chiara ed aderente di un fenomeno dilagante, soprattutto tra i giovani. Non è la tristezza quella che ci accoglie al termine dell’ultima pagina, bensì una voglia concreta di affrontare, ogni giorno, le sfide dell’esistenza.


Nell’adattamento teatrale, invece, il padre Nino conduce la propria vita quotidiana in un piccolo appartamento nel quale ha ricavato un locale per proseguire, a ritmi ridotti, la propria attività di parrucchiere. In scena si avvicendano due personaggi, la portinaia del palazzo ed un colto avventore; quest’ultimo condurrà, quasi involontariamente, il padre a ripercorrere gli aspetti del suo rapporto con la figlia Nena, gli squilibri, le aspettative disattese, le incomprensioni, i silenzi, nella progressiva estensione delle distanze.


La figura “onirica” della figlia presidierà sempre lo spazio disseminandolo di indizi, gesti, disegni, parole, pura presenza inavvertibile dai sensi umani eppure straziante nella mnemonica, quotidiana e fallace ricerca da parte del genitore, delle cause che originarono la perdita definitiva dell’unico, insostituibile, amore filiale.


Quelle povere stanze accumulano ammassi di memoria, pozzi di ricordi, nascosti nei libri, fra i diari, chiusi in cassetti, infilati in cartelline; si cammina letteralmente sugli ammassi di memoria, infidi come acidi gelatinosi.

Si annidano anche negli angoli, si nascondono nelle ombre proprio come l’odore che aleggia lì, quello della malinconia, che è il vero odore della memoria. 


Le ore trascorrono lente nel ripetersi ossessivo di una domanda: perché Nena ha trascorso giorni della propria esistenza, a scrivere sul retro di fotografie, poster di spettacoli, pagine di agenda? A che cosa è servito e a beneficio di chi infine?


Bisogna sempre lottare per non scivolare in un altro dolore. Bisogna già farsi coraggio per affrontare e coltivare il proprio.


Il dramma di entrambi i protagonisti però, più che nella perdita dell’oggetto d’amore, si riscoprirà nella reciproca mancanza di un investimento affettivo nel prossimo.