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Petra

Reiner Werner Fassbinder scriveva “Le lacrime amare di Petra von Kant” nel 1971 e lo portava con successo in teatro per poi girarne l’anno successivo la versione cinematografica e dichiarava:  “Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l’altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per potere amare senza dominare l’altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire.”


Il libero adattamento di Progetto Outlier scandaglia l’analisi della dipendenza degli esseri umani dalla persona amata, dai propri vizi e dalle proprie nevrosi.


a dipendenza patologica che i personaggi si manifestano reciprocamente, quelle date da fumo, alcool, stupefacenti, denaro, sesso; nulla nel dramma è vissuto in modo sano, nulla provoca piacere. C’è effettivamente tanto Strindberg e molto Ibsen in questo dramma borghese, ma c’è tanto altro: c’è il melodramma di Douglas Sirk, c’è l’invasione violenta della vita altrui di Orwell e Kafka, c’è il melodramma svestito dall’abito lirico, e c’è l’anticipazione di quanto quasi vent’anni dopo avrebbe fatto un altro genio del melodramma contemporaneo: Pedro Almodòvar.


Il voyeurismo diventa atto coercitivo degli attori verso gli altri attori, verso il pubblico, verso gli stessi personaggi che essi vengono chiamati (o costretti) ad interpretare. E’ una lotta fra ciò che il testo dice e ciò che si vorrebbe dire, fra il tempo del teatro ed il tempo della vita.


È anche un incontro d’individui che hanno bisogno di non essere soli, di gente di teatro che in un teatro non può più stare, di chi si guarda indietro e si chiede se la vita rappresentata sia o no migliore di quella vera, di chi usa il teatro per fare ciò che nel mondo esterno gli sarebbe impedito fare. Comunque si veda la questione, da qualunque prospettiva la si guardi, lo scontro non è mai ad armi pari.