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Fuochi

Ho conosciuto dei giovani che venivano dal mondo degli Dei. I loro gesti facevano pensare alle traiettorie degli astri. Come tutti gli Dei, rivelavano inquietanti parentele con i lupi, gli sciacalli, le vipere: ghigliottinati, avrebbero assunto l’aspetto livido dei marmi decapitati.


Questi giovani sono coloro che venivano relegati nel labirinto e che venivano dilaniati dal minotauro o si dilaniavano l’un l’altro immaginando che esso esistesse. Il loro solo conforto era l’amore.
Amore, mio duro idolo, le tue braccia tese verso di me sono vertebre di ali, il tuo corpo nudo sembra un Angelo incaricato di vegliare sulla tua anima. Mi sveglio ogni notte nell’incendio del mio stesso sangue.
L’indifferenza è guercia; l’odio è cieco; incespicano a fianco a fianco nel fossato del disprezzo. L’indifferenza ignora; l’amore sa.

Quello che vale oggi, valeva anche allora: drammaturgia del labirinto, minotauro.
Rappresentando come labirinto quel mondo al quale mi trovo esposto, in realtà tento di acquisire distanza nei suoi confronti, di arretrare, di tenerlo sott’occhio come fa il domatore con una belva.
Il minotauro era solo nel suo labirintico mondo, forse avrebbe potuto essere perfettamente felice, come un Dio. Ma è a questo punto che sorge la domanda, forse spaventosa, se quella felicità senza desideri sia poi davvero possibile provarla.

Una domanda che a sua volta fa sorgere il sospetto che sia questo il motivo per cui gli Dei rovesciano spesso sui mortali sofferenze smisurate, per provare, sia pure soltanto per pochi attimi, assistendo alle sofferenze degli uomini, la propria divina felicità.