Top

Erodiàs

“Jokanaan!“

“Erodiàs” inizia così, con un urlo reiterato che si fa gioco di parole, musica che parte dal nome ebraico del Battista e che giunge a poco a poco a conficcarsi nella carne lombarda dilaniata.

Sulla scena un quadro che prende vita: l’unica dimensione in cui Eròdias può ancora sopravvivere, seppur confusa da quei dubbi e domande che il profeta ha in lei provocato. Non è abbastanza averlo messo a tacere con un atto cruento e blasfemo: la testa di Giovanni, separata da corpo, continua a parlarle, la provoca, le impone interrogativi a cui non trova risposta.

Erodiàs non è più l’Erodiàs che era, ormai è il Battista stesso. Di lui prende le fattezze, da lui prende parole che non conosce, di lui cerca segni in ogni dove.

Dall’amore per lui, nasce il suo tormento: che fare? Come andare avanti?

Lo spettatore vede, davanti a sé, una dicotomia senza tempo: corpo e mente, ignoranza e conoscenza,  sesso e morte. Infinite declinazioni della stessa cosa. Di una vita che cerca, non trova, e allora attende.

Come se non ci fosse altra possibilità che questa.

Ma è così? Oggi, è davvero così?