Top

I giganti della montagna

Terzo dei miti moderni di Pirandello.
Dopo il religioso (Lazzaro) e il sociale (La Nuova Colonia), I Giganti della Montagna è il mito dell’arte.
Rappresentato postumo nel 1937, è l’ultimo dei capolavori pirandelliani ed è incompleto per la morte dell’autore.
La vicenda è quella di una compagnia di attori che giunge nelle sue peregrinazioni in un tempo e luogo indeterminati: al limite, fra la favola e la realtà, alla Villa detta “la Scalogna”.
Non aggiungerò parole alla trama, ma voglio dire di altre possibilità che vorrei assecondare.
Sono sempre stato molto affascinato per il non finito, non concluso.
Ho sempre avuto una grandissima attrazione per i testi cosiddetti incompiuti.
Mi sembrano da sempre così giusti rispetto al teatro.
L’incompiutezza è per la letteratura, per il teatro è qualcosa di ontologico.
Trovo perfetto per Pirandello e per il Novecento che il lascito ultimo di un autore così fondamentale per il contemporaneo sia senza conclusione. Senza definizione. Senza punto e senza il sipario di quando c’è scritto – cala la tela.
I Giganti della Montagna è un testo che penso si possa permettere ormai il lusso di destinarsi ad altro possibile.
Dopo le bellissime messe in scena che grandissimi registi e attori del nostro Teatro recente e contemporaneo ci hanno già regalato, penso ci sia l’occasione di non resistere ad altre tentazioni.
Provarci, almeno.
La compagnia di attori che arriva alla villa della Scalogna sembra avere, in qualche forma, un appuntamento col proprio doppio.
Cotrone e Ilse stanno uno all’altra come scienza e coscienza, gli stessi Giganti, mai visti o vedibili, sono così nei pressi di ognuno da poter immaginare come proiezioni di sé.
Voglio immaginare tutta l’immaginazione che posso per muovere dalle parole di Pirandello verso un limite che non conosco. Portarle “al di fuori di tempo e spazio”, come indicato nella prima didascalia, toglierle ai personaggi e alle loro sfumature, ai caratteri, ai meccanismi dialogici, sperando possano portarmi ad altro, altro che non so, altro, oltre tutto quello che può sembrare.
Se i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, per andare appena oltre, per provarci almeno, devo muovere proprio da quelli.

Roberto Latini

Assumendo su di sé la responsabilità d’interpretare tutti i personaggi (operando però un opportuno sfoltimento, senza pregiudicare il tessuto originale), il regista e attore regala al pubblico un’affascinante, struggente, dolorosa allegoria della forza dell’immaginazione, della creazione artistica (e in particolare del teatro), e della sua capacità di rendere libero l’individuo, fiducioso nella propria onestà intellettuale al punto da permettergli di affrontare le prove più atroci, persino di sfidare la morte in nome della libertà (…) E nell’Italia meschina e maledetta del III Millennio, la figura di Ilse è la metafora di quella minoranza giovanile che ogni giorno cerca di far sentire la propria voce in una società gerontocratica, composta da miserabili “giganti”, imbottiti di tessere di partito, gonfi di privilegi e avidi di accumularne ancora, che di fatto stanno negando a un’intera generazione la possibilità di costruire la propria vita.

Niccolò Lucarelli “Sipario”